PRIMO TEMPO |
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1922-1923
"Primo tempo", "rivista letteraria mensile", viene fondata a Torino nel maggio 1922 da Giacomo Debenedetti assieme a Mario Gromo, Emanuele F. Sacerdote e Sergio Solmi; inizialmente viene stampata presso l'Officina tipografica di C. Valentino e C. di Via Carlo Alberto, 7; redazione ed amministrazione sono in Corso San Maurizio 36. Il responsabile della rivista è Felice Gonella ed il «consiglio di redazione» è formato da Giacomo Debenedetti (che diverrà direttore di «Primo Tempo» a partire dal n. 7-8), Mario Gromo, Emanuele F. Sacerdote, Sergio Solmi (i nomi dei tre redattori non appaiono più nei nn. 7-8 e 9-10). Sebbene il programma iniziale prevedesse una serie di dodici fascicoli, la raccolta completa della rivista consta di sette fascicoli: quattro numeri semplici (1, 2, 3, 6) e tre doppi (4-5, 7-8, 9-10), con la seguente periodicità: n. 1, 15 maggio 1922; 2, 15 giugno 1922; 3, 15 luglio 1922; 4-5, agosto-settembre 1922; 6, 15 ottobre 1922; 7-8, 9-10, senza data (ma 1923). Gli ultimi due numeri vengono stampati dalla Tipografia Sociale di Pinerolo. «Primo tempo» chiude le pubblicazioni con il n. 9-10 del 1923; un articolo di Giacomo Debenedetti, Ripresa, rimasto inedito e pubblicato da Franco Contorbia nella ristampa della rivista (Milano, Celuc, 1972, pp. 383-385), annunciava un nuovo fascicolo della prima serie che non fu mai pubblicato. Debenedetti, allora poco più che ventenne, si è formato culturalmente in quello stesso ambiente torinese la cui tradizione illuministica, intessuta di rigore morale e di passione politica, ha prodotto intellettuali del calibro di Antonio Gramsci e Piero Gobetti. Non a caso, quindi, "Primo Tempo" si colloca, sia per la sua azione culturale sia in senso puramente cronologico, accanto ad esperienze come quelle di "Energie Nuove" (1918-1920) e di "Rivoluzione Liberale" (1922-1925), con un forte richiamo all'impegno etico degli intellettuali che riesce ad aggregare, nella sua pur breve esistenza, un gruppo di giovani (da Guglielmo Alberti e Filippo Burzio a Mario Fubini, Umberto Morra, Natalino Sapegno fino a Leone Ginzburg, per citarne solo alcuni) di quella scuola torinese che confluirà nel "Baretti" (1924-1928), di cui "Primo Tempo" costituisce, in qualche modo, una sorta di prova generale. Nella temperie del primo dopoguerra, in un clima di sostanziale
"ritorno all'ordine", la rivista di Debenedetti si presenta
col proposito di "trattare questioni riguardanti la letteratura e
l'arte contemporanea con unità d'indirizzi e vivezza di intendimenti",
come si legge nel foglio pubblicitario inserito nel primo fascicolo. Un
programma, quindi, di apertura ad ampie problematiche, sottolineato dalla
disponibilità della redazione ad accogliere i collaboratori più
vari e ad arricchire man mano la schiera di coloro che si avvicinavano
al periodico per esprimere liberamente le proprie idee. A ciò si accompagna una sensibilità aperta alle esperienze letterarie straniere (contro la preclusione crociana) che, se sarà più evidente nel Debenedetti della maturità, già si forma in questo clima culturale e deriva, per tutto il gruppo raccolto attorno alla rivista, dalla naturale disposizione della cultura torinese verso le vicende d'oltre confine e della Francia, per ovvie ragioni geografiche (di letterature straniere si occupano soprattutto G. Alberti e G.V. Amoretti). In ciò "Primo Tempo" riprende la grande lezione delle riviste fiorentine, in particolare della "Voce" (la cui presenza traspare dai due saggi che lo stesso Debenedetti dedica ai "moralisti" Michelstaedter e Boine) e della "Ronda" di cui ospita alcune illustri firme come Cecchi e Burzio e alla quale è anche dedicato un articolo di Natalino Sapegno. Ma l'esempio del frammentismo e della prosa d'arte (in cui lo stesso Debenedetti si cimenta con il brano Giardino zoologico) sono superati dall'apertura con cui la rivista dà spazio alle voci più significative della nuova poesia (qui l'accantonamento dei "modelli", da Carducci a Pascoli e D'Annunzio si fa evidente); da Montale (che poi, non a caso, pubblicherà la sua prima raccolta Ossi di seppia nelle edizioni del "Baretti") a Ungaretti e, soprattutto, a Saba. Di quest'ultimo bisogna dire che costituisce la vera "scoperta" di "Primo Tempo". Accolto fin dal primo numero per suggerimento di Solmi con la pubblicazione di una Canzonetta, Saba vi pubblicò poi Preludi e Canzonette, l'Autobiografia e i Prigioni. Ma soprattutto attirò l'attenzione di Debenedetti che dedicò al Canzoniere uno dei primi, importanti contributi critici in cui si evidenzia la sua vocazione "psicanalitica" e l'attenzione alla genesi autobiografica e alla componente etnico-culturale della poesia di Saba. Sono dati già molto rilevanti per una rivista durata appena sette fascicoli. Dopo una interruzione che si riteneva temporanea la rivista avrebbe dovuto riprendere le pubblicazioni con dei numeri tematici e un programma preciso riguardante la critica, il teatro contemporaneo e la letteratura francese moderna. Programma che, invece, confluirà, e con maggiore apertura europeistica, nel "Baretti" di Piero Gobetti, fondato nel 1924 e destinato a raccogliere, come s'è detto, buona parte dei collaboratori di "Primo Tempo", i quali vi continueranno la loro battaglia in nome di una cultura "illuminista", che si colora di connotati politici come segno di resistenza all'avanzata del regime di Mussolini. |
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