1926-1928
Scheda, indici e immagini a cura di FRANCESCA ROCCHETTI
Rivista antifascista sorta a Genova nel 1926 ad opera di un gruppo di
studenti.
Nata da un processo di crisi dei valori propone un momento di autentica
riflessione e di critica alle facili e superficiali espressioni del regime
fascista.
Nella prima serie, uscì a fascicoli mensili di 32 pagine, in formato
sedicesimo (cm 20 x 15) con una copertina tipografica; alcuni numeri ebbero
una copertina a due colori raffigurante una specie di scala stilizzata,
dalla quale prendono il volo due ali e si leva una fiamma.
La veste tipografica e grafica dell'insieme era piuttosto dimessa; la
tiratura non andò mai oltre le 600-700 copie. Fino al 1927 uscirono
in totale 14 fascicoli.
Il gruppo originario di redazione comprendeva, oltre a Franco Antolini,
Virgilio Dagnino e Francesco Manzitti che erano stati gli ideatori della
rivista, Enrico Alpino, Francesco Sabatelli, Umberto Segre, in quegli
anni tutti studenti all'università di Genova. Accanto ad essi collaboravano
anche Carlo Alberto Biggini, Augusto De Barbieri, Valeria Vaglia, Ugo
Gallo, Errico Martino, Mario Tarello, Angelo Carrara. Quest'ultimo, essendo
l'unico a possederne i requisiti necessari, assunse la direzione del periodico.
In un secondo tempo, altri collaborarono alla rivista, tra cui Ermanno
Bartellini, Carmelo Puglionisi, Paolo Rossi, Emilio Servadio, Vittorio
Tedeschi. Nei primi mesi del 1927 iniziarono a scrivere su "Pietre"
anche due personaggi molto autorevoli: Giuseppe Rensi e Mario Vinciguerra.
I giovani di "Pietre" avevano stabilito la redazione in una
saletta massa a loro disposizione presso la "Società di Letture
e Conversazioni Scientifiche" con sede in Piazza Fontane Marose a
Genova. L'indirizzo ufficiale della rivista risultava però in Corso
Carbonara 10, presso l'abitazione di Manzitti.
Il mondo antifascista genovese considerò con simpatia l'iniziativa
dei giovani universitari genovesi. Nessuno tuttavia cercò di influenzare
l'indirizzo politico della rivista stessa. "Pietre" infatti
visse e operò al di fuori di ogni esperienza partitica: la vocazione
dei redattori era quella di preservare una tensione intellettuale (il
"dubbio" della cultura) per un periodo in cui essa avesse potuto
svilupparsi democraticamente.
I collaboratori della rivista, fin dagli inizi, si erano stretti attorno
a Carlo Rosselli - il loro consigliere e ispiratore - e a quei professori
che cercavano di dare un senso alla loro quotidiana operosità culturale,
per impedire, attraverso l'impegno e lo studio, lo svuotarsi delle attività
del pensiero, e quindi il mutare dei principi fino al progressivo scomparire
di ogni libertà.
"Pietre" divenne allora un'autentica testimonianza, un punto
fermo di dibattito ove poter far confluire i dubbi di una società
ormai screditata addirittura a se stessa. La preoccupazione immediata
dei redattori era quella di ritrovare in se stessi una forza che permettesse
loro di fronteggiare il fascismo come quadro di civiltà e che in
essa venissero proiettate le proprie esigenze.
Pur essendo una rivista di carattere prevalentemente letterario, essa
ospitò anche articoli di argomento socio-economico (affidati ad
Antolini e Dagnino) e scritti di politica letteraria, ai quali tuttavia
mancò un indirizzo di enunciazione polemica e costruttiva.
La maniera di tracciare rapidi profili di uomini, o interpretazioni di
riviste, rappresentò l'impegno più felice e forse più
riuscito dei giovani collaboratori. Un carattere apertamente antifascista
veniva manifestato con l'interesse polemico per mezzo del quale si smentivano
le interpretazioni fascistiche della storia recente d'Italia.
Sul piano della testimonianza, si colloca il ricordo di Piero Gobetti,
l'unico forse che da tutti i redattori fosse riconosciuto come vero e
più diretto maestro. Tanto era sentita questa presenza che, nel
febbraio del 1927, anniversario della morte, quasi un intero fascicolo
della rivista fu dedicato a Gobetti.
Dopo il maggio 1927, a causa di difficoltà economiche e per l'assenza
di Antolini e Dagnino, allievi ufficiali a Torino, la rivista interruppe
le pubblicazioni. Un ultimo fascicolo mensile uscì nel dicembre
del '27, recando un corsivo che annunciava la trasformazione della rivista
in periodico quindicinale.
La testata era passata al gruppo milanese degli amici di "Pietre".
Lelio Basso era il polo e il centro della nuova iniziativa, aiutato dal
fratello Antonio, da Mario Paggi, Emiliano Zazo, Mario Boneschi e dal
gruppo di studenti sardi allora a Milano. Anche nella nuova versione,
purtroppo, la rivista non aveva trovato quell'omogeneità e quello
spirito unitario più volte auspicato da redattori e collaboratori.
Nella sua nuova veste grafica - quattro pagine grandi (cm 50 x 35), anziché
fascicoli di 32 pagine - uscirono soltanto quattro numeri: l'ultimo di
questi numeri reca la data del 10 marzo 1928.
Nella nuova serie "Pietre" accentuò il carattere genericamente
letterario e filosofico, nei confronti di quello "tecnico-sociologico"
che aveva tentato di darsi agli inizi, e che nelle intenzioni dei redattori
avrebbe dovuto tornare ad essere prevalente, qualora la rivista fosse
riuscita ad eludere la sorveglianza del regime. Ma questo non avvenne
e, nella notte tra il 12 e il 13 aprile 1928 la polizia, in una vasta
azione di repressione, coinvolse anche i redattori di "Pietre",
che fu costretta a cessare per sempre le pubblicazioni.
Scheda
catalografica in ACNP
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