IL MENABÒ


1959-1967



Scheda a cura di PAOLA GADDO

La rivista, nata a Torino nel 1959, viene fondata e diretta da Elio Vittorini e da Italo Calvino, che la seguono insieme fino alla morte del primo, avvenuta nel 1966. Dopo la scomparsa di Vittorini, l'iniziativa viene proseguita dal solo Calvino, che però fa terminare l'esperienza l'anno successivo.
Stampata sempre a Torino dall'Editore Einaudi, la rivista esce con periodicità irregolare, presentando ai lettori circa uno o due numeri l'anno e risultando così composta, al termine delle pubblicazioni, da dieci fascicoli.
"Il Menabò" intende svolgere il proprio ruolo politico-culturale entrando nel vivo di una crisi non solo della letteratura, ma della cultura in generale, sviluppatasi a causa di fattori eterogenei, ma la cui motivazione essenziale appare determinata dalla constatazione della mancanza di un "discorso di rapporto dell'uomo col mondo", dell'assenza di "tensione", del "compiacimento di scoprire che c'è del buono anche nel conformismo".
Sulle pagine della rivista vengono così trattate le problematiche sorte nella cultura italiana all'inizio degli anni Settanta come la discussione promossa da Vittorini sul tema "Industria e letteratura". All'interno del dibattito trovano spazio gli interventi di vario genere offerti da Sereni, Ottieri, Calvino, Ferrata, Fortini, Leonetti.
La questione legata al rapporto tra lingua e dialetto, interpretato come uno degli aspetti di un linguaggio "metaforico" contrapposto al linguaggio convenzionale, rientra in una proposta di ricerca e di verifica di nuove forme di sperimentazione espressiva che la rivista presenta. Nel primo numero, ad esempio, viene pubblicato Il calzolaio di Vigevano di Mastronardi, introducendo questo filone narrativo e fornendo un'integrazione documentaria agli interventi di Rago, dello stesso Vittorini e di Crovi.
Nei fascicoli si alterna la pubblicazione di testi poetici e narrativi, anche di giovani autori, avvicinando la rivista ad una "collana letteraria", a quella di saggi critici e discussioni polemiche che affrontano i problemi attinenti ai testi pubblicati.
Di particolare rilievo risulta la posizione assunta da Calvino in merito all'école du regard e alle tesi della neoavanguardia; è in questo ambito che emerge fortemente la difesa di un più impegnativo rapporto dialettico fra coscienza e mondo oggettivo, motivo sul quale insistono gli indirizzi dei due condirettori e dei loro più stretti collaboratori, a partire dalla scelta del nome dato alla rivista, privo di valori emblematici, ma legato ad un intento di praticità, di funzionalità. Prevale quindi l'esigenza di razionalizzazione (Il mare dell'oggettività), di moralità, fatta di giudizi determinati da una presenza storica. Per questi motivi viene riconosciuto alla cultura un potere determinante nei confronti della realtà che ci circonda, per dare una valida risposta in contrapposizione alla staticità della letteratura-documento.
Tra i fascicoli è sicuramente degno di rilievo il n°7, stampato con il sottotitolo di "Gulliver" per rimarcare la formula internazionale. Si tratta infatti di un numero che intende allargare all'Europa il lavoro di "confronto e provocazione" offerto dalla rivista, attraverso interventi saggistici e testi creativi di tre distinte compagini culturali; tra i vari nomi compaiono i contributi di Barthes, Johnson, Starobinski, Grass, Bachmann oltre a quelli dei direttori, di Leonetti, Pasolini e Villa. Il fascicolo n°9, invece, è dedicato alla "letteratura come storiografia", sviluppando la tematica, propria in particolare della letteratura tedesca, del documento come "espressione non demistificata" di elaborazione realistica.
Il decimo ed ultimo fascicolo è interamente dedicato a Vittorini e raccoglie testi, documenti fotografici e pagine critiche postume del letterato, ed una serie di contributi in suo onore.

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