LACERBA |
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1913-1915 Scheda, indici e immagini a cura di FRANCESCA ROCCHETTI In collabroazione con il MART, Museo d'arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto "Lacerba" fa la sua comparsa per la prima volta a Firenze il 1° gennaio 1913. La rivista è pubblicata dal tipografo Attilio Vallecchi, alla sua prima esperienza da editore. La periodicità quindicinale viene mantenuta fino al numero 24 del 1° dicembre 1914; nel 1915 diventa settimanale e uscirà ogni domenica. Nei primi due anni sarà composta da 16 grandi pagine (formato tabloid) a due colonne e costerà 4 soldi; i fascicoli dell'ultima annata invece avranno 8 pagine, con testata di colore rosso vivo (mentre precedentemente era nera) e costeranno solo 2 soldi. Nonostante i numeri crescano da 24 a 52 l'abbonamento annuale resterà invariato a 4 lire. La redazione è in via Nazionale 25 a Firenze, il gerente responsabile è Guido Pogni, sostituito, alla fine del 1914, da Pietro Gramigni. Quasi ogni numero pubblica riproduzioni di quadri e illustrazioni. L'elegante impaginazione ricorda quella della "Voce" e verrà conservata anche nelle altre riviste italiane d'avanguardia fino a quelle del secondo dopoguerra. Sotto il frontespizio appare il primo verso del poemetto di Cecco d'Ascoli, L'Acerba: "Qui non si canta al modo delle rane". Anche se nel terzo fascicolo si dichiara che "la rivista non ha un vero e proprio direttore", "Lacerba" è animata dall'allora trentaduenne Giovanni Papini che - come ci ricorda Sebastiano Vassalli ne "L'alcova elettrica" (Torino, Einaudi, 1986) - a quel tempo è "un nipotino sgraziato del Superuomo di Nietzsche, un Superuomo di carta, un misto di goliardia e di canaglieria dai comportamenti contraddittori e non sempre decifrabili; è l'occhialuto teppista che butta sterco di cane oltre il portone dell'Accademia della Crusca e che improvvisa sconce serenate sotto le finestre del senatore Mazzoni; è l'uomo indisponente e gelido che quando incontra il povero Federigo Tozzi si diverte a aizzarlo a pubbliche scenate [ ]; è lo spietato persecutore dei letterati estranei alla sua cerchia, che attira in trappole predisposte per farne sommaria e pubblica giustizia". Fallita l'esperienza de "L'Anima", la rivista d'arte e di letteratura con cui aveva cercato di ritagliarsi un proprio spazio nell'azienda editoriale della "Voce", Papini deve cercare di "sbarcare il lunario" altrove e intraprende una nuova scommessa, quella di creare una rivista di cultura, edita da Vallecchi che "per i primi mesi pagherà soltanto gli articoli pubblicati, poi, se il giornale sarà attivo, stipendierà un direttore". In questa rischiosa avventura Papini si avvale dell'aiuto di tre collaboratori: il trentaquattrenne Ardengo Soffici, aspirante pittore e scrittore di successo, il triestino Italo Tavolato, giunto a Firenze per studiare filosofia, fedelissimo di Papini, il quale rappresenta per lui il maestro di vita e di pensiero, oltre che il datore di lavoro; infine il ventottenne Aldo Palazzeschi (il cui vero nome è Alfredo Giurlani), poeta garbato, estroso, che si dichiara futurista. Il periodico è inaugurato dallo scritto Introibo, ossia un manifesto programmatico suddiviso in 16 punti; il quattordicesimo punto può servire per comprendere meglio lo spirito che anima i fondatori: "Queste pagine non hanno affatto lo scopo né di far piacere, né d'istruire, né di risolvere con ponderatezza le più gravi questioni del mondo. Sarà questo un foglio stonato, urtante, spiacevole e personale. Sarà uno sfogo per nostro beneficio e per quelli che non sono del tutto rimbecilliti dagli odierni idealismi, riformismi, umanitarismi, cristianismi e moralismi". Tra le righe si può leggere quindi il proposito di dar vita a una rivista originale, aperta ai nuovi fermenti della cultura italiana e con un piglio dirompente e aggressivo, ben lontano dal civile e democratico dibattito politico e culturale ospitato nelle pagine de "La Voce", testata che esce negli stessi anni e da cui Papini si distacca, dopo averla diretta nel biennio 1912-1913, manifestando una progressiva insofferenza verso il suo orientamento moderato. "Lacerba", oltre che riunire in sé il meglio della creazione artistica del tempo, desidera liberare il campo delle arti e delle lettere "dal numero stragrande dei pregiudizi, delle routines, delle prevenzioni, delle ignoranze, delle incomprensioni, delle imbecillità che lo infestano". Il criterio, dunque, con cui vengono scelte le opere che figurano sulle pagine del periodico, oltre che un criterio di bellezza è un criterio polemico e "di preparazione in vista di un' arte futura"; da questo ne deriva una propensione verso tutto ciò che è nuovo o almeno ardito. Una rivista che si propone come spregiudicata e agguerrita non può
tuttavia non tener conto della novità più dirompente e rumorosa
di quegli anni, e cioè il movimento futurista milanese, attivo
già dal 1909. E difatti Marinetti, Boccioni, Russolo e Carrà,
i primi attori del futurismo milanese, elessero "Lacerba" organo
del loro movimento, utile strumento per diffondere le loro idee e le loro
imprese. Tuttavia Papini e Soffici mantennero sempre una posizione più
defilata rispetto a Marinetti e ai suoi; l'articolo Il cerchio si chiude
del 15 febbraio 1914 manifestò con chiarezza le divergenze inconciliabili,
soprattutto in materia di rappresentazione artistica, tra il gruppo fiorentino
e quello milanese. La rivista continuerà ad ospitare articoli,
manifesti, testi paroliberi dei seguaci di Marinetti, ma le strade tra
il gruppo fiorentino e i milanesi saranno ormai irrimediabilmente divise. |
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