IL CONVITO


1895-1907



Scheda, indici e immagini a cura di PAOLA GADDO

La vicenda del «Convito» è abbastanza singolare nella storia dei periodici letterari. Difatti, fondata nel 1895 da Adolfo De Bosis che ne fu insieme il direttore e il finanziatore, la rivista avrebbe dovuto pubblicare nell'arco di un solo anno dodici fascicoli che invece usciranno ad intervalli assai irregolari in un periodo di ben dodici anni, fino al 1907. Se, dunque, i primi nove numeri pubblicati fra il gennaio 1895 e il dicembre 1896 configurano il vero nucleo della rivista, i restanti tre si presentano come volumi a sé stanti, considerato anche il fatto che raccolgono soltanto scritti di De Bosis, tra cui l'importante traduzione dei Cenci di Percy Bysshe Shelley.

Per meglio comprendere il ruolo della rivista debosisiana occorre ricollegarla a precedenti pubblicazioni periodiche di quel particolare periodo della Roma "bizantina", simbolo di un passato splendore e di una presente ed estenuante decadenza, che nei primi anni Ottanta vide fiorire l'estetismo, sulla scorta di tendenze analoghe già presenti nella grande cultura europea. Il riferimento vale soprattutto per «Cronaca bizantina» (1881-1885), il raffinato foglio fondato dall'editore Angelo Sommaruga che si fece portavoce del classicismo carducciano e, al tempo stesso, ospitò i nuovi orientamenti estetizzanti che facevano capo al D'Annunzio (gli stessi Carducci e D'Annunzio furono tra i principali animatori del periodico romano).

Dieci anni dopo la fine di «Cronaca bizantina», dunque, De Bosis riprende l'idea di una rivista finalizzata alla diffusione di un'arte estetizzante, il cui programma egli stesso espone in un Proemio dove si legge: "[...] noi vogliamo sperare che questo nostro «Convito» possa raccogliere un vivo fascio di energie militanti le quali valgano a salvare qualche cosa bella e ideale dalla torbida onda di volgarità che ricopre ormai tutta la terra privilegiata dove Leonardo creò le sue donne imperiose e Michelangelo i suoi eroi indomabili. [...] Ebbene, c'è ancora qualcuno che in mezzo a tanta miseria e a tanta abjezione italiana serba la fede nella virtù occulta della stirpe, nella forza ascendente delle idealità trasmesseci dai padri, nel potere indistruttibile della Bellezza, nella sovrana dignità dello spirito, nella necessità delle gerarchie intellettuali, a tutti gli altri valori che oggi dal popolo d'Italia sono tenuti a vile, e specialmente nell'efficacia della parola".

A questo culto della Bellezza la rivista si mantiene fedele grazie alla coesione di un ristretto numero di collaboratori tra cui spiccano, accanto al direttore, D'Annunzio e Pascoli assieme a Nencioni, Panzacchi e Scarfoglio. Significativo è il fatto che fin dal primo numero D'Annunzio pubblica a puntate le Vergini delle rocce, il romanzo più rappresentativo delle implicazioni ideologiche ed etiche dell'estetismo. Ma non è solo sul piano della prosa e della lirica che si esplica l'azione del «Convito»: dietro la sua veste elegante e raffinatissima sta anche una folta schiera di illustratori chiamati a realizzare un perfetto connubio tra arte della parola ed arti figurative, nelle quali domina un gusto prerafaellita intessuto di tendenze mistiche. Il progetto che sembra sottostare a questa impostazione del periodico di De Bosis è quello di creare una perfetta corrispondenza tra segno verbale e segno iconico, tra l'espressione poetica e la sua trasposizione figurativa, in un intreccio che tende a risolvere anche l'interpretazione critica in una forma d'arte. In particolare, nella Nota su Giorgione e la critica di D'Annunzio, si pone in via teorica l'equazione tra il critico e l'artista, nel senso di "artifex additus artifici", con tutte le implicazioni misticheggianti che ne derivano (una teoria che sarà sviluppata da Angelo Conti in un famoso saggio, La beata riva: trattato dell'oblio, pubblicato nel 1900 con una prefazione dello stesso D'Annunzio).

Insomma, la dimensione estetizzante del «Convito» continua a perseguire quella dimensione totalizzante e quella fusione tra arte e vita che era propria dell'estetismo "prima maniera", se così si può dire, di «Cronaca bizantina». In tal senso la rivista di De Bosis si propone come strumento di una ristretta cerchia di artisti per la difesa di quei valori estetici ed etici che appaiono negati dall'"onda di volgarità" che investe la vita culturale e sociale dell'Italia di fine Ottocento. Quel che c'è di mutato rispetto a quella esperienza è invece la dimensione dell'impegno rispetto a ciò che esula dai ristretti confini dell'arte. Vengono meno l'attenzione ai processi della politica, l'ansia e i progetti di rinnovamento, la chiarezza ideologica in senso lato (che non sia, cioè, di una ideologia tutta ristretta all'ambito puramente letterario). In realtà il giudizio negativo sulla realtà presente è il pretesto per un atteggiamento di evasione nei domini di un'arte aristocratica ed elitaria, per uno splendido isolamento cui fa da copertura la retorica un po' vuota e velleitaria della critica, spesso generica, al mondo contemporaneo.

La dimensione estetica come dimensione assoluta della vita dà spazio, da un lato, alla esaltazione dell'individuo-artista e della sua eccezionalità e, dall'altro, ad un crescente disprezzo per la massa che diventa ben presto un sentimento antidemocratico. Sta forse qui, per concludere, la genesi di un atteggiamento che si svilupperà e si estenderà a tutta una categoria di intellettuali che daranno vita ad altre riviste nei primi anni del Novecento, dal «Leonardo» all'«Hermes» al «Regno» e per i quali l'esaltazione del genio, il rifiuto del sistema democratico e parlamentare, il nazionalismo come esaltazione della tradizione culturale, il rifiuto del presente, si combineranno, in varie e sfaccettate maniere, con l'irrazionalismo proveniente da diverse fonti del pensiero filosofico. Ma, dato il suo particolare e accidentato percorso, il «Convito» finisce per essere contemporaneo anche di riviste come «La Voce», che si pongono già nettamente sul piano di un discorso culturale e letterario tutto novecentesco, e quindi finisce per diventare veramente emblematico, al di là della pura cronologia, di un'età di passaggio, a cavallo tra i due secoli.

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