BRACI


1980-1984



Scheda a cura di CARLA GUBERT

Indici e immagini a cura di AURORA MORELLI

Si ringrazia Claudio Damiani per il prezioso contributo dato alla realizzazione del progetto di cui fa parte la rivista «Braci», attraverso il prestito e la donazione dei fascicoli. Si ringrazia ugualmente Mauro Biuzzi per la donazione del n. 3 da lui curato.



Tra il novembre del 1980 e l'inverno del 1984 prende vita a Roma una rivista di poesia interamente autofinanziata e per lungo tempo ciclostilata e stampata in proprio dal titolo «Braci», nata dal desiderio di un gruppo di giovani sodali di creare uno spazio poetico non allineato con i canali istituzionali, ritenuti ormai corrotti e compromessi con alcuni movimenti di pensiero degli anni Sessanta e Settanta. Uno spazio libero, dunque, dove più che alla teoria si crede intimamente al fare poetico, all'incontro e al dialogo quotidiano, all'autogestione. Il poeta Beppe Salvia emerge da subito tra i fondatori come la vera guida del gruppo (si intuisce dalla poesia che apre il primo numero, Il lume accanto allo scrittoio), viatico per compiere quel ritorno, come egli stesso ha detto, «a immagini nitide e vive», alla «vita vera, nuda», alla verità e all'incanto delle cose. Un nome, quello di Salvia, inciso nella memoria collettiva quale nume tutelare, anche in virtù della morte precoce, avvenuta nel 1985.

I poeti di «Braci» che compongono inizialmente la redazione del primo numero sono dunque Salvia, Claudio Damiani, Giuseppe Salvatori, Arnaldo Colasanti, Gino Scartaghiande, mentre alla gestazione, anche grafica, durata quasi un anno, partecipa fin dal principio Mauro Biuzzi. L'incontro avviene in occasione dei laboratori di poesia tenuti da Elio Pagliarani o ancora intorno alla galleria "Sant'Agata de' Goti". Senza dimenticare l'iniziale esperienza maturata all'interno di "Prato pagano", rivista diretta dalla poetessa Gabriella Sica e fondata pochi mesi prima.

Il nome, scelto da Beppe Salvia tra una rosa di proposte nate quasi come gioco associativo - da 'aria' (gli schizzi preparatori della rivista si trovano nel sito di Mauro Biuzzi dedicato a Salvia, (www.beppesalvia.it/archivio/index.html), a 'baci' ad 'abbracci' -, racchiude una pluralità di significati, dall'idea di qualcosa che perdura anche se apparentemente esangue, quindi un concetto di resistenza legato anche alla visione della poesia di quegli inizi di anni Ottanta, fino ad una visione prometeica che emerge nel poemetto di Salvia, Il portatore di fuoco, dove Prometeo ragazzo tiene delle braci in mano. Un richiamo al mito antico che diviene costante e imprescindibile dialogo con la tradizione classica, trait d'union di questo giovane gruppo di scrittori.

Il luogo deputato agli incontri è la dimora di Claudio Damiani, a Montesacro, in Viale Carnaro. I primi due fascicoli, di piccolo formato ed essenziali nella grafica (copertina bianca o gialla con il nome impresso artigianalmente sul frontespizio con un timbro), si compongono di un numero di pagine variabili tra le dieci e le trenta cartelle, quasi interamente occupate dai testi in poesia o prosa dei redattori, ai quali si aggiunge Un racconto di Giselda Pontesilli, animatrice un po' in ombra ma ben presente lungo tutta la durata della rivista. Unico scritto eccentrico quell'intervista all'anonimo collaboratore di una casa editrice, in realtà stilato da Damiani e Salvia a quattro mani, per rimarcare la siderale lontananza dalle logiche del mercato editoriale, soprattutto dettata da un rinnovato bisogno di silenzio e meditazione sull'oggetto poetico.

Se nel primo numero incontriamo esclusivamente i testi dei fondatori, con il secondo, del 16 febbraio 1981, la lista dei collaboratori si amplia con i nomi di Giuliano Goroni e Paolo Del Colle. Come sottolinea Flavia Giacomozzi nel recente libro Campo di Battaglia. Poeti a Roma negli anni Ottanta (antologia di «Prato Pagano» e «Braci»), Castelvecchi, 2005, sembra vigere all'interno dei fascicoli «un'idea di libertà, confermata anche dalla disposizione dei testi sul medesimo piano, senza gerarchie».
«Braci» nel tempo cambia varie volte formato e spessore. Con il n. 3, datato settembre 1981, si sperimenta a cura dell'artista Mauro Biuzzi una copertina quadrata, di dimensioni più grandi, in un futuristico grigio e bianco. Il numero, che raccoglie all'interno anche Il teatrino paralitico di Biuzzi, non ottiene però il consenso di tutti e con il quarto fascicolo del dicembre 1981, ad un anno dunque dalla fondazione della rivista, essa muta non solo il formato, tornato alle origini ma abbellito dalle rondini disegnate da Salvia, simbolo di libertà, bensì anche il paratesto, recando il sottotitolo «giornale di pura poesia». L'indicazione, forse non da tutti condivisa, decade però con il numero successivo, il quinto del maggio 1982, questa volta ancora più contenuto di misura. Se «Braci» si ridimensiona visibilmente nel formato, lo stesso non accade invero con i collaboratori che aumentano via via sempre più, facendo lievitare il numero delle pagine, divenute cento e oltre.
La stampa, non più in proprio, viene ora affidata alla Cooperativa editoriale e Libraria Il Bagatto, di San Lorenzo, aumentando la possibilità di diffusione ma anche il carico di lavoro dei redattori. Tra i nuovi nomi che da ora in poi scorriamo negli indici, tra cui Eraldo Albinati, Marco Papa e Giovanna Sicari con la bella prosa Meta di Sorrento, un acquisto importante è certamente Marco Lodoli, che da quel momento parteciperà attivamente al lavoro redazionale accanto a Damiani e Salvia, fino a entrare di fatto nel comitato con il n. 7. Altri scrittori, come Andrea Zanzotto, Carlo Betocchi (di cui Albisani è allievo) e Amelia Rosselli, doneranno alcune poesie e quel Diario ottuso, unica prosa ancora inedita scritta nel 1968 della poliedrica scrittrice, riconoscendo in «Braci» una rivista «underground».

Il n. 6 dell'ottobre 1982 annuncia la preparazione della «collana dei Quaderni di Braci i cui primi quattro titoli sono: Marco Lodoli, I poveri. Giuliano Goroni, Áncora tentativa. Beppe Salvia, Inverno dello scrivere nemico. Claudio Damiani, Alla finestra orientale. Gino Scartaghiande, Dôze accor de voice». Il progetto non verrà però di fatto mai realizzato.

A differenza di altre riviste dell'epoca, «Braci» non tributa esplicitamente alcun omaggio a riconosciuti maestri o numi tutelari, racchiudendo la matrice del pensiero etico e poetico del gruppo nell'allusiva epigrafe di Seneca: «La virtù basta, anzi sovrabbonda, alla felicità della vita». Compaiono invece le traduzioni di Damiani delle Quattro poesie di Mei Yao Ch'en e Áida nello specchio del poeta iraniano Ahmad Shamlo nonché Tre poeti vittoriani (George Meredith, Elizabeth Barrett Browning, Gerard Manley Hopkins) nella versione di Albinati. I maestri in comune sono comunque da ricondurre ai classici in generale, italiani, latini e greci, cinesi. Dei moderni, anziché Leopardi, si pone al centro Pascoli e D'Annunzio, a ritroso fino alla riscoperta di Petrarca. Ma non solo. Ad esempio, dice Damiani, tutti erano d'accordo sul nome di Keats, sulla sua 'classica fanciullezza'.

L'ultimo fascicolo prima della breve svolta editoriale promette, in attesa di un editore o di un mecenate, di incarnare ironicamente «il giornale della nuova letteratura» e nonostante le non poche difficoltà in cui una pubblicazione «tutta con le loro mani confezionata» può incorrere, i volumetti, sette in tutto e tutti diversi in formato, colore e fattura, raggiungono il quarto anno di vita con una ormai raggiunta notorietà.
Il n. 0 del gennaio-marzo 1984, l'ottavo, affidato ad una stampa tipografica professionale, la Tipografia CE.SA di Roma, inaugura la nuova serie, con un sommario apposto all'inizio e un carattere tipografico mutato: abbandonato il consueto e particolare carattere Sans Serif Antiques, si opta per un Modern più rotondo. Il sottotitolo si stempera in un più generico «Trimestrale di nuova letteratura». È anche la fine di questa coraggiosa avventura poetica romana: «Era un luogo dello spirito, ma dal momento che divenne una rivista, ne conseguirono tutti i problemi pratici», ricorda Scartaghiande (in F. Giacomozzi, op. cit., p. 303). La maggior parte dei redattori confluirà nella allora nascente seconda serie di «Prato pagano», da cui alcuni non si erano mai allontanati del tutto.

Forse «Braci» non tracciò di fatto nessuna poetica, ma si fece al contrario consapevole luogo di incontro tra coloro che nella teoria poetica avevano perso ogni fiducia. Infatti sporadici sono i saggi, le recensioni e gli scritti teorici (le riflessioni di Arnaldo Colasanti, Sul nuovo e sull'antico e i Discorsi sulla poesia, giungono solo verso la fine). Il messaggio che ne emerge è comunque chiaro e incisivo, dove l'ispirazione fondante sembra essere quel desiderio preciso di rimettere al centro la parola e la lingua (liberata dall'equivalenza sanguinetiana tra linguaggio e azione ideologica), come fatto etico, riconquistando l'ordine e la semplicità perduti attraverso la rilettura dei classici della tradizione. Secondo Colasanti, «un'idea francescana, quasi pauperistica» della poesia, «come se si trattasse di una miseria ricercata, voluta, che si reggeva su solidi equilibri. C'era in questo un'idea classica di armonia che sorgeva dentro una povertà» (in F. Giacomozzi, op. cit., p. 296).