BRACI |
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1980-1984
Scheda a cura di CARLA GUBERT Indici e immagini a cura di AURORA MORELLISi ringrazia Claudio Damiani per il prezioso contributo dato alla realizzazione del progetto di cui fa parte la rivista «Braci», attraverso il prestito e la donazione dei fascicoli. Si ringrazia ugualmente Mauro Biuzzi per la donazione del n. 3 da lui curato.
I poeti di «Braci» che compongono inizialmente la redazione del primo numero sono dunque Salvia, Claudio Damiani, Giuseppe Salvatori, Arnaldo Colasanti, Gino Scartaghiande, mentre alla gestazione, anche grafica, durata quasi un anno, partecipa fin dal principio Mauro Biuzzi. L'incontro avviene in occasione dei laboratori di poesia tenuti da Elio Pagliarani o ancora intorno alla galleria "Sant'Agata de' Goti". Senza dimenticare l'iniziale esperienza maturata all'interno di "Prato pagano", rivista diretta dalla poetessa Gabriella Sica e fondata pochi mesi prima. Il nome, scelto da Beppe Salvia tra una rosa di proposte nate quasi come gioco associativo - da 'aria' (gli schizzi preparatori della rivista si trovano nel sito di Mauro Biuzzi dedicato a Salvia, (www.beppesalvia.it/archivio/index.html), a 'baci' ad 'abbracci' -, racchiude una pluralità di significati, dall'idea di qualcosa che perdura anche se apparentemente esangue, quindi un concetto di resistenza legato anche alla visione della poesia di quegli inizi di anni Ottanta, fino ad una visione prometeica che emerge nel poemetto di Salvia, Il portatore di fuoco, dove Prometeo ragazzo tiene delle braci in mano. Un richiamo al mito antico che diviene costante e imprescindibile dialogo con la tradizione classica, trait d'union di questo giovane gruppo di scrittori. Il luogo deputato agli incontri è la dimora di Claudio Damiani, a Montesacro, in Viale Carnaro. I primi due fascicoli, di piccolo formato ed essenziali nella grafica (copertina bianca o gialla con il nome impresso artigianalmente sul frontespizio con un timbro), si compongono di un numero di pagine variabili tra le dieci e le trenta cartelle, quasi interamente occupate dai testi in poesia o prosa dei redattori, ai quali si aggiunge Un racconto di Giselda Pontesilli, animatrice un po' in ombra ma ben presente lungo tutta la durata della rivista. Unico scritto eccentrico quell'intervista all'anonimo collaboratore di una casa editrice, in realtà stilato da Damiani e Salvia a quattro mani, per rimarcare la siderale lontananza dalle logiche del mercato editoriale, soprattutto dettata da un rinnovato bisogno di silenzio e meditazione sull'oggetto poetico. Se nel primo numero incontriamo esclusivamente i testi dei fondatori,
con il secondo, del 16 febbraio 1981, la lista dei collaboratori si amplia
con i nomi di Giuliano Goroni e Paolo Del Colle. Come sottolinea Flavia
Giacomozzi nel recente libro Campo di Battaglia. Poeti a Roma negli
anni Ottanta (antologia di «Prato Pagano» e «Braci»),
Castelvecchi, 2005, sembra vigere all'interno dei fascicoli «un'idea
di libertà, confermata anche dalla disposizione dei testi sul medesimo
piano, senza gerarchie». Il n. 6 dell'ottobre 1982 annuncia la preparazione della «collana dei Quaderni di Braci i cui primi quattro titoli sono: Marco Lodoli, I poveri. Giuliano Goroni, Áncora tentativa. Beppe Salvia, Inverno dello scrivere nemico. Claudio Damiani, Alla finestra orientale. Gino Scartaghiande, Dôze accor de voice». Il progetto non verrà però di fatto mai realizzato. A differenza di altre riviste dell'epoca, «Braci» non tributa esplicitamente alcun omaggio a riconosciuti maestri o numi tutelari, racchiudendo la matrice del pensiero etico e poetico del gruppo nell'allusiva epigrafe di Seneca: «La virtù basta, anzi sovrabbonda, alla felicità della vita». Compaiono invece le traduzioni di Damiani delle Quattro poesie di Mei Yao Ch'en e Áida nello specchio del poeta iraniano Ahmad Shamlo nonché Tre poeti vittoriani (George Meredith, Elizabeth Barrett Browning, Gerard Manley Hopkins) nella versione di Albinati. I maestri in comune sono comunque da ricondurre ai classici in generale, italiani, latini e greci, cinesi. Dei moderni, anziché Leopardi, si pone al centro Pascoli e D'Annunzio, a ritroso fino alla riscoperta di Petrarca. Ma non solo. Ad esempio, dice Damiani, tutti erano d'accordo sul nome di Keats, sulla sua 'classica fanciullezza'. L'ultimo fascicolo prima della breve svolta editoriale promette, in attesa
di un editore o di un mecenate, di incarnare ironicamente «il giornale
della nuova letteratura» e nonostante le non poche difficoltà
in cui una pubblicazione «tutta con le loro mani confezionata»
può incorrere, i volumetti, sette in tutto e tutti diversi in formato,
colore e fattura, raggiungono il quarto anno di vita con una ormai raggiunta
notorietà. Forse «Braci» non tracciò di fatto nessuna poetica, ma si fece al contrario consapevole luogo di incontro tra coloro che nella teoria poetica avevano perso ogni fiducia. Infatti sporadici sono i saggi, le recensioni e gli scritti teorici (le riflessioni di Arnaldo Colasanti, Sul nuovo e sull'antico e i Discorsi sulla poesia, giungono solo verso la fine). Il messaggio che ne emerge è comunque chiaro e incisivo, dove l'ispirazione fondante sembra essere quel desiderio preciso di rimettere al centro la parola e la lingua (liberata dall'equivalenza sanguinetiana tra linguaggio e azione ideologica), come fatto etico, riconquistando l'ordine e la semplicità perduti attraverso la rilettura dei classici della tradizione. Secondo Colasanti, «un'idea francescana, quasi pauperistica» della poesia, «come se si trattasse di una miseria ricercata, voluta, che si reggeva su solidi equilibri. C'era in questo un'idea classica di armonia che sorgeva dentro una povertà» (in F. Giacomozzi, op. cit., p. 296).
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